Omelia del vescovo Egidio per la Messa della Quinta Domenica di Pasqua
Descrizione

 10 maggio 2020- Santuario di Vicoforte

Le messe di questo tempo pasquale ci propongono essenzialmente brani degli Atti degli Apostoli e brani del Vangelo di Giovanni. Se vogliamo trovare uno sviluppo del discorso è più facile coglierlo attraverso la prima lettura che ci presenta, come modello, di domenica in domenica, la vita della Comunità cristiana all'indomani della Pasqua.

Il Vangelo di oggi comincia ad alludere all'Ascensione di Gesù e alla Pentecoste, mentre il brano degli Atti degli Apostoli ci mostra come l’edificio spirituale di cui parla Pietro nella seconda lettura sia stato costruito poco a poco. È l’edificio della Chiesa, della Comunità. Interessante notare come anche circostanze difficili abbiano contribuito a far progredire la sua costruzione.

GUARDARE AGLI INIZI

Noi ci soffermeremo solo sulla prima lettura cercando di confrontarci con le scelte della primitiva comunità.

Possiamo domandarci perchè noi cristiani del terzo millennio dobbiamo ripredere in mano questo libretto - gli Atti degli Apostoli -  scritto nel primo secolo, in un contesto e in una lingua così diversi dai nostri. Perchè guardare indietro? Perchè "ritornare" in un certo senso a Gerusalemme? Significa tornare a quegli avvenimenti, piccoli per la storia del mondo, ma che contengono in maniera essenziale e genuina ciò che Dio ha voluto porre come fonte della nostra identità di cristiani, cioè di discepoli di colui che è Via Verità e Vita.

LA VITA DELLA PRIMITIVA COMUNITÀ CRISTIANA

Dopo il consolidamento della Comunità in Gerusalemme, hanno inizio le prime missioni ed espansioni. Il brano odierno è conosciuto per via dell'istituzione dei sette diaconi, ma vi sono altri aspetti importanti connessi a questa scelta e che meritano di essere sottolineati.

L’avvio del brano ci segnala che la comunità è a una svolta: è in aumento il numero dei fedeli e il clima di fraternità che in essa regnava va in crisi. Indubbiamente il piccolo gruppo ha maggiore identità e facilità di rapporti al suo interno; nel piccolo gruppo ci si sceglie anche per affinità di vedute.

Ci era stato detto che agli inizi "erano tutti concordi nell'ascolto degli Apostoli, nel ritrovarsi a celebrare l'Eucarestia, nelle preghiere, nella solidarietà vicendevole"; oggi abbiamo ascoltato che "mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento". L'espandersi della comunità crea le prime tensioni.

Il malcontento riguarda, in questo caso, gli Ellenisti verso gli Ebrei; gli Ellenisti, vale a dire i giudei vissuti fuori della Palestina che avevano ricevuto una educazione greca, e gli Ebrei che da sempre abitavano in Palestina. Tutti Giudei, ma culturalmente diversi: da un parte gli Ellenisti che avevano sinagoghe loro, dove leggevano la bibbia in lingua greca, culturalmente più aperti; dall’altra i Giudei di Palestina con sinagoghe a loro riservate dove si leggeva la Bibbia in ebraico. Ebbene, anche una volta convertiti al cristianesimo, la divisione fra questi due gruppi rimane, e ad ogni occasione difficile la rivalità riemerge.

Qui traspare su un problema concreto: la comunità ha una sua organizzazione per l'assistenza ai bisognosi, e questa si rivela inadeguata: secondo gli Ellenisti le loro vedove venivano trascurate nella distribuzione quotidiana del cibo e degli aiuti. Probabilmente, in buona fede, non si riusciva a fare tutto e bene, non si riusciva ad arrivare a tutti.

Per risolvere tale questione, i Dodici cercano subito una soluzione, dimostrando inventiva pastorale e passione per l'unità. E questa soluzione rivela una molteplicità di compiti e la struttura collegiale della Chiesa.

CIÒ CHE È FONDAMENTALE

Nella Chiesa primitiva c'è innanzitutto un servizio missionario della Parola, che può essere inteso in modo generico come il compito della predicazione; c'è una organizzazione del culto, della preghiera: qui si intende, probabilmente, la preghiera pubblica quotidiana guidata dagli Apostoli; infine c'è un servizio di assistenza e di solidarietà nei confronti di tutti i poveri.

Gli Apostoli si interrogano su ciò che è prioritario e deve competere a loro come compito specifico. La riflessione si conclude con queste considerazioni: “non è giusto che trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense… Pertanto noi ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della Parola”. 

Dopo aver definito il compito degli Apostoli viene avanzata la proposta di affidare a sette uomini il servizio della carità, e in specifico, quello delle mense per i poveri.

Benchè questi sette non siano chiamati da Luca "diaconi" tuttavia la ripetizione della parola "servizio" (in greco diakonìa) ha fatto sì che in seguito essi fossero chiamati con tale nome e sono stati considerati i primi rappresentanti di questo grado del ministero gerarchico.

Nel loro incarico si può vedere la diversificazione dei compiti resa necessaria dalla crescente complessità della situazione comunitaria.

DALLA CHIESA DI IERI ALLA CHIESA DI OGGI

Questa pagina degli Atti degli Apostoli cosa ci suggerisce? Come possiamo attualizzarla? Cosa vi possiamo e dobbiamo cogliere per la Chiesa di oggi, per le nostre comunità?

Già la circostanza d'avvio, in qualche modo pare ben adattarsi ai nostri giorni: "aumentava - scrive S. Luca - il numero dei discepoli"; cioè la comunità si allargava, e le necessità cui far fronte si moltiplicavano.

Oltre che sotto il profilo strettamente numerico, certo sotto quello della complessità dei problemi cui dare risposta, anche le comunità cristiane di oggi esigono una presenza sempre più attenta e razionalmente impostata. I tempi cambiano velocemente, alcuni problemi restano come costanti, ma tante situazioni emergono nuove. Senza contare le situazioni improvvise e imprevedibili, come quella che stiamo vivendo.

Per mille motivi, poi, le forze non sono molte: la società si è secolarizzata, i seminari contano presenze quasi simboliche, i sacerdoti giovani scarseggiano e gli anziani muoiono.

Vedere solo nei laici la soluzione dei problemi della Chiesa di oggi e di domani, significa dare per scontate una serie di condizioni che in realtà non esistono, quali, ad esempio: che le comunità siano ricche di laici desiderosi di mettersi in gioco, che i laici abbiano tempo disponibile per fare ciò che i preti non fanno o non vogliono più fare, che i laici disponibili siano preparati e capaci di sostenere alcuni ministeri. È fin troppo evidente che occorre, ed è doverosa, la collaborazione dei laici, ma questa è una situazione che non si improvvisa e che comunque richiede uomini di fede, quella fede che andiamo denunciando smarrita o intiepidita.

Nel frattempo le energie disponibili vanno gestite con intelligenza e sapienza. Gli Apostoli, abbiamo visto, puntarono decisamente sulla divisione del lavoro apostolico: alle mense destinarono sette uomini di buona reputazione mantenendo per se stessi la responsabilità principale, il dedicarsi alla preghiera e al ministero della Parola. E sappiamo con quanta generosità, senza risparmio di energie. La loro scelta non fu certamente un fuggire da fatiche o uno scaricare fastidi.

LE PRIORITÀ NELLA VITA DELL’APOSTOLO

Non è questa la sede per trovare risposte definitive ai nostri problemi di impiego delle potenzialità: però, dall'esempio della Chiesa primitiva, un paio di indicazioni possono senz'altro venire anche a noi.

La prima: se scorgiamo negli Apostoli di allora i sacerdoti di oggi, ecco che a questi ultimi, a noi, viene suggerita una forte scelta a favore della preghiera e dell'annuncio della Parola di Dio, ovvero predicazione e formazione.

Non mi pare poco; noi preti tendiamo a fare mille cose, ad assumerci mille impegni. Il che, per certi versi, è anche lodevole. Sovente è stato un lavoro di supplenza indispensabile. Ma forse l'urgenza maggiore, tanto più in questi anni a venire, è di tipo spirituale.

Mi chiedo e vi chiedo se il sacerdote, l'uomo di Dio, come suo specifico, non debba riscoprire - o rivalorizzare - la dimensione dello spirito. Pregando di più, staccandosi un poco dalle incombenze concrete del quotidiano e riservando più tempo a pratiche quali il colloquio spirituale, l'accompagnamento spirituale delle persone.

Ora la mia vita è cambiata: ma in parrocchia spesso chi veniva a confessarsi o a fare direzione spirituale alla fine si scusava del tempo che mi aveva fatto perdere. Naturalmente non era così, tanto più per me. Ma questo è il segno di come nella mentalità si creda che il sacerdote debba sempre andare, fare, disfare, e non possa dedicare le sue ore ad ascoltare, a cercare di rispondere, ad accompagnare la vicenda interiore dei fedeli che gli sono affidati.

Personalmente ho sempre ritenuto che questo, invece, sia il vero compito del prete.

QUALCHE IDEA DA CORREGGERE

Azzardo pertanto qualche immagine e qualche interrogativo: non dovremmo forse avere il coraggio di correggere un poco la figura del prete? Non sarebbe più in linea con gli Atti degli Apostoli - e naturalmente col Vangelo - un sacerdote dalla vita più ritirata, più dedita alla riflessione, alla preghiera? Non ci sarebbe forse bisogno di un sacerdote di cui la gente sapesse che spesso lo si può trovare? Non dovremmo pensare il prete come uomo di Dio che fa ciò che ad altri non è possibile nè giusto chiedere, cioè meditare la Parola, annunciarla con dignità, porsi quale punto di possibile riferimento spirituale?

Forse ci siamo ingannati e ci inganniamo presumendo che la nostra epoca richieda preti-manager tutto fare; non c'è forse, invece, più bisogno di un prete che sa incontrare, ascoltare, rispondere? A scanso di equivoci, mi sento di aggiungere che non penso a un prete avulso dalla vita della gente e rintanato nello studio o in sacrestia. Penso sempre e comunque al prete-pastore, guida della comunità, presente, interamente dedito alla sua gente – solo per una volta mi si permetta di dirlo: “con l’odore delle pecore” addosso – ma con una chiara consapevolezza di ciò che gli è specifico, di ciò che solo lui può dare e deve dare.

LAICI “PIENI DI SPIRITO E DI SAGGEZZA”

Ma perchè questo possa accadere, occorre tuttavia anche una forte collaborazione da parte dei laici. Abbiamo visto: alle mense qualcuno doveva pur provvedere, e gli Apostoli scelsero sette persone fidate. Li cercano con delle caratteristiche ben precise: “di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza”. Del resto, lo sappiamo, chi agisce per conto della Comunità e a nome della Comunità trasmette sempre anche un’immagine della Comunità stessa.

Ebbene, a quelle mense, possiamo oggi sostituire alcuni organismi diocesani, le Caritas, indubbiamente, il gruppo famiglie, il gruppo animatori, l'oratorio, la catechesi o mille altre nostre realtà e iniziative. Il discorso non cambia. Spesso qualcuno pensa che nulla possa camminare e procedere se non grazie alla presenza del sacerdote; una riunione, in parrocchia, ci pare meriti rispetto pieno solo e se vi partecipa il sacerdote.

Il calo numerico dei sacerdoti, ma ancor prima, il ripensamento del ruolo dei laici alla luce della loro vocazione battesimale dovrebbero invece indurci a una svolta decisa.

Preti e fedeli dobbiamo capire fino in fondo che alcune mansioni, anche di grande responsabilità, possono competere ai laici, i quali hanno da sentirsi investiti di totale fiducia e da saper agire anche senza il continuo appoggio, meglio, la continua presenza del sacerdote.

Naturalmente tutto questo presuppone persone fortemente motivate, animate e sostenute dalla fede, di grande equilibrio e di spessore spirituale insieme. L'impegno di responsabilità nella comunità non può, infatti, basarsi su improvvisazione o adesione superficiale o saltuarietà. Anche questo è segno di serietà.

Perciò, come ultimo interrogativo, chiedo a me e a voi se stiamo facendo tutto il possibile per qualificare sempre di più le persone della comunità, per renderle capaci di assumersi responsabilità, ovvero di vivere la loro vocazione. È il tema della formazione dei laici. E ai laici, pertanto, chiedo direttamente: come curate la vostra spiritualità e la vostra competenza in campo ecclesiale?

A ben guardare, quindi, il passo degli Atti degli Apostoli esorta ad un innalzamento della qualità complessiva della vita comunitaria, e segnala come via maestra la diversificazione delle funzioni. Ciascuno di noi ha una sua vocazione e un suo compito nella Chiesa, ognuno è chiamato ad essere “pietra viva” per la costruzione dell’edificio spirituale.

Nel mio tentativo di attualizzazione ho posto solo qualche interrogativo e qualche suggestione tanto sulla posizione del prete quanto su quella dei laici. Naturalmente il discorso va ripreso in altre sedi, e credo che la cosa sarebbe assai utile per le nostre comunità cristiane di oggi e di domani.

+ Egidio, vescovo

 

Dettagli