Omelia del vescovo Egidio per la Messa di Natale
Descrizione

24 Dicembre 2020 -  Cattedrale 

 

Confesso che mi è sempre difficile la predica di Natale. Perché so che la Messa di Natale è un momento importante, sentito, sia per chi è saldo nella fede sia per chi è un po’ più insicuro, o magari indifferente, e fa di questa Messa l’unico appuntamento religioso dell’anno, cui si accosta con attese magari inconsce ma grandi. 

Natale, infatti, è ancora capace di attrarre, di coinvolgere, di far pensare. Sarebbe importante per me riuscire a parlare al cuore di tutti, tanto più quest’anno, dopo mesi di sofferenze, lutti, paure e preoccupazioni. Penso immediatamente ad alcune situazioni che ho incontrato in questi giorni: a un mio caro amico morto in solitudine dopo un mese trascorso in un ospedale lontano da casa, alla sua famiglia, ai conoscenti e ai sacerdoti che da settimane sono ricoverati, agli anziani soli nelle case di riposo, ai lavoratori e commercianti rimasti senza entrate. Penso agli adolescenti e ai giovani impreparati a sostenere questo isolamento imposto, a chi vive in un’incertezza sempre più angosciosa che non ci permette neppure la cordialità e il bisogno di un abbraccio o di una stretta di mano. Sono pochi esempi delle tante difficoltà e sofferenze con cui arriviamo a questa notte, alla grotta di Betlemme.

Per fortuna, però, continuano a circondarci anche esistenze felici, serene: affetti genuini e gratificanti, belle famiglie e in buona salute, con il lavoro che fortunatamente continua, una fede semplice, matura, convinta. E anche queste situazioni esigono una parola appropriata, che comunque sostenga il cammino intrapreso, perché ciò che è buono sia conservato nel modo giusto, affinché il benessere non ci distolga da Dio. Chiedo quindi al Signore che sia Lui a far risuonare, nell’intimità della coscienza di ognuno, la parola vera, quella giusta per ogni situazione. 

Oso una seconda premessa: ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia, noi poniamo giustamente attenzione alle preghiere che concepiamo e a ciò che ci viene detto dalle letture e dall’omelia, e in base a questo ci sentiamo più o meno soddisfatti. Tutto giusto. È certamente importante la consapevolezza e la sincerità delle parole che rivolgiamo a Dio ed è importante che ciò che ascoltiamo sia vero, utile e significativo. Ma se dobbiamo chiedere qualcosa al Signore, stasera, chiediamo che sia Lui a rivelare la sua presenza, chiediamo di poter sentire la sua presenza, e chiediamo che sia lui a parlare, a rivelarci il senso profondo del suo venire e del suo stare in mezzo a noi. 

Dovrebbe essere questo il punto centrale di ogni Messa, e ciò che fa di ogni Messa una cosa unica rispetto a tante altre forme di religiosità: credere alla sua presenza reale, sentire, accogliere, fare spazio, a questa sua presenza. Se si realizzasse almeno stanotte, avremmo colto il senso vero del Natale: Dio che si fa vicino, che si fa storia, che entra nelle nostre vicende personali, per accompagnarle, per guarirle, per salvarle.

 

NATALE: INCONTRO DI DIO CON L’UOMO

Quanto appena detto mi fa rivivere una delle pagine più significative del diario di Paul Claudel (poeta, drammaturgo francese morto nel 1955) in cui lo scrittore, “giovane infelice”, come lui si definiva, narra la sua conversione avvenuta nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi. Era il 25 dicembre 1886. Racconta così:

“«Cominciavo allora a scrivere e mi sembrava che nelle cerimonie cattoliche, considerate con superiore dilettantismo, avrei trovato uno stimolo opportuno e la materia per qualche esercizio decadente. In queste condizioni, urtando a gomitate la folla, assistetti alla messa solenne con poco piacere. Poi, non avendo nient’altro di meglio da fare, tornai al pomeriggio per i vespri. I bambini del coro … stavano cantando ciò che più tardi ho saputo essere il “Magnificat”. Io ero in piedi tra la folla, …In quel momento capitò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, con un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, con una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio tanto che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita agitata hanno potuto scuotere la mia fede né toccarla.

Improvvisamente ebbi il sentimento lacerante dell’innocenza, dell’eterna infanzia di Dio: una rivelazione ineffabile! Cercando, come ho fatto spesso, di ricostruire i momenti che seguirono quell’istante straordinario, ritrovo gli elementi seguenti che, tuttavia, formavano un solo lampo, un’arma sola di cui si serviva la Provvidenza divina per giungere e finalmente aprire il cuore di un povero figlio disperato: come sono felici le persone che credono! Ma era vero? Era proprio vero! Dio esiste, è qui. È qualcuno, un essere personale come me! Mi ama, mi chiama. Le lacrime e i singulti erano spuntati, mentre l’emozione era accresciuta ancor più dalla tenera melodia dell’Adeste fideles» 

Da quel Natale, inizia per Claudel un tempo di riflessione, un cammino che gli permette di trasformare la forte emozione religiosa provata a Notre-Dame, in una matura adesione alla Chiesa cattolica. Il passaggio decisivo dall'incredulità alla fede avviene in un altro Natale, quello del 1890, in cui egli contempla «le miserable enfant», il Dio fattosi bambino, il Dio dei piccoli, come segno dell'onnipotenza divina che salva il mondo. In quel Bambino, egli incontra Dio che lo rende finalmente felice.

È una delle tante storie del Natale, potremmo dire; del Natale vero, il Natale cristiano, luogo-momento dell’incontro tra Dio e l’uomo; a partire dal sacramento, dalla Messa, per estendersi al rinnovamento della vita intera.

                                   

L’INGRESSO NELLA STORIA

Un punto centrale del Natale è questo: Dio è entrato nella storia, per la nostra salvezza. Dire storia significa dire: nel tempo, nello scorrere delle vicende umane. Può sembrare un’ovvietà, per noi che da 2000 anni ascoltiamo questa verità, ma, diciamolo, non era per nulla scontata questa scelta di Dio. É stata comunque una scelta tra le infinite possibili. San Giovanni, nel suo vangelo dice: “Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi”.  Dio invisibile si è fatto natura umana, carne umana, bambino nato da donna. San Luca ce lo ha raccontato con i tratti di un racconto, quasi una fiaba; in realtà un avvenimento contestualizzato in un tempo e in uno spazio ben preciso, in un momento storico.

Così lo descrive con poche pennellate un altro grande convertito del XIX secolo, Andrè Frossard: “Augusto regnava su Roma, e Roma sul mondo. Né prima, né dopo, nessuna città, nessuna nazione ha mai uguagliato in potenza la potenza di questa città che fu da sola un’immensa nazione…L’ordine, il diritto, il patrimonio civile, la pace avevano un solo nome: Roma”. Era il centro del mondo. La civiltà era arrivata a quel grado di raffinatezza oltre il quale non c’è che la decadenza…

Ebbene: “Mentre gli sguardi erano puntati su Roma, Dio nasceva nel borgo più povero, nella più dimenticata delle province dell’impero. Mentre Ottaviano, divinizzato, lasciava il suo nome per quello più prestigioso di Augusto, Dio nascondeva il suo nome in quello di Gesù. Indirizzo: Betlemme di Giudea, 3000 abitanti, qualche dozzina di ulivi, poche case su terra rossa, la prima grotta a destra nella roccia all’uscita del villaggio”. Lì, nel disinteresse generale, iniziava una nuova storia, con un nuovo statuto, il Vangelo, capace - nel tempo - di scardinare il potere di Roma, le sue istituzioni (pensiamo alla schiavitù) i suoi templi zeppi di divinità, capace di dare dignità nuova e speranza all’uomo.

 

UN DIO CHE GUARISCE

Ma oggi? Cosa chiedere a quella forza dirompente, in questo Natale in cui lo sguardo, la mente, il cuore dell’uomo sembrano come smarriti. Che ha da dirgli quella storia lontana che risale al tempo di Ottaviano Augusto? 

Preghiamo e sembra che lo facciamo invano. Attediamo l’aiuto di Dio e Dio pare assistere impassibile al nostro soffrire. La tentazione è quella dell’ateismo, della sfiducia, se non della disperazione. Verrebbe da ribellarsi, al Dio onnipotente, che tutto può ma che nulla fa contro la pandemia che ci insidia. Eppure, già altre epoche hanno conservato la fede pur attraversando tragedie immani. Probabilmente, ci è chiesto di fare lo stesso, e di leggere con occhi di fede ogni evento.

Davanti ai lutti e al dolore innocente di chi si ammala e muore senza avere colpa alcuna; davanti al patimento di chi nulla ha fatto per meritarlo, sembrano non restare che due alternative, come scrisse potentemente il Manzoni: “Cercando un colpevole contro cui sdegnarsi a ragione, il pensiero si trova con raccapriccio condotto a esitare tra due bestemmie, che son due deliri: negar la Provvidenza, o accusarla”.

Fare Natale oggi, significa, invece, cercare, direi quasi scavare una terza via, per tracciarla con coraggio: noi non accusiamo né neghiamo la Provvidenza, davanti all’infuriare del morbo; noi ci affidiamo a Dio, che entra nella storia e fin da subito lotta e si fa carico del male. Possiamo dirlo anche in modo diverso: chi ci salverà? Dato che l’uomo sembra incapace di salvare l’uomo?  Scriveva papa Benedetto XVI: «Poiché l’uomo rimane sempre libero e poiché la sua libertà è sempre anche fragile, non esisterà mai in questo mondo il regno del bene definitivamente consolidato» (Spe Salvi 24).

Noi crediamo che la vera salvezza viene dal Signore, solo da Lui, perché “il Figlio di Dio fattosi uomo guarisce interiormente la nostra libertà” e quindi Lui va alla radice del nostro essere. Guarisce-salva l’uomo dal di dentro, nel cuore, nella coscienza, rendendoci capaci di verità, di sincerità, di carità. Non solo: ci salva dal di dentro della storia, nascendo, predicando e rivelando, lasciandoci il Vangelo come via di salvezza, cui l’uomo può aderire. Anche quando intorno tutto pare destinato alla sconfitta e al trionfo del male.

 

UN BAMBINO CHE CI ADDITA UNA VIA DI SALVEZZA

Dicevo all’inizio, con altre parole: Dio avrebbe potuto salvare il mondo in mille altri modi. Ha scelto la via dell’incarnazione, del suo entrare nella storia, per trasformare la vita dell’uomo, per salvarla, dal di dentro, tramite il suo Figlio e tramite ciò che ha lasciato, indicato: il suo Vangelo, la comunità dei discepoli di ieri e di oggi, i Sacramenti, mezzi della sua grazia, strumento del suo eterno agire e operare nella vita del mondo.

E allora, in questa notte, convergiamo anche noi in quell’angolo di mondo che apparentemente sembra estraneo ai grandi giochi della storia. Lo stiamo già facendo, in questa nostra Betlemme che è questa celebrazione; ma il nostro essere qui sia pieno di consapevolezza: fermiamoci a contemplare quel Dio bambino che ci offre un nuovo inizio, ci indica una via sicura. Crediamo che solo seguendo Lui e la sua parola riusciremo a ridare vita alla nostra vita, alla nostra società.

Ancora una volta Lui ci dice: Io sono la via, la verità e la vita. Ancora una volta ci dice: Io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo. E facciamo di questa certezza la forza del nostro quotidiano, la serenità del nostro cuore, il motivo di vera speranza che ci fa gioire oggi e non ci fa temere, neppure in questo oggi drammatico, il domani. Così sia

                                                                                                                      + Egidio, vescovo

 

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