Omelia del vescovo Egidio per la Messa in ricordo del 40° della Parrocchia e del 30° della Chiesa parrocchiale Santa Maria Maggiore in Mondovì
Descrizione

Domenica 10 Dicembre 2023

Domande per il cammino d’avvento
È la seconda domenica di avvento, la domenica che mette in campo il grande Giovanni Battista, il precursore che ci esorta, che grida: “preparate la via del Signore”. Già queste parole meriterebbero di essere approfondite nella loro valenza metaforica. Dove deve approdare quella via? Da dove parte? Quale cammino compie il Signore dentro i miei giorni? L’immagine è potente proprio perché presuppone un movimento di Gesù, cosa del resto implicita anche nella parola “avvento”. Ma che cosa significano per ciascuno di noi? Quale concretezza possiamo dargli mentre ci avviciniamo a questo Natale?
 
Nascita e crescita della comunità del Ferrone
Ma la mia presenza oggi è per una circostanza particolare. Si lega alla memoria di un evento particolare e non secondario: la nascita di una comunità cristiana.
Ho letto con interesse l’ultimo numero del Bollettino parrocchiale dedicato all’anniversario che oggi ricordiamo, i 40 anni di fondazione della parrocchia, così come la più consistente pubblicazione predisposta nel 2008 per la ricorrenza dei venticinque anni. I due testi permettono di conoscere gli avvenimenti più significativi della vita del quartiere e della parrocchia, ma soprattutto permettono ai più giovani o ai nuovi arrivati di intuire l’entusiasmo degli inizi e di non dimenticare i protagonisti: volti, nomi, esistenze che si sono intrecciate in maniera feconda è decisiva con la nascita di questa comunità, che hanno aperto la strada che tuttora procede. Ancora la metafora della via, del cammino. Forse abusata, in àmbito religioso. Eppure così efficace per dire che siamo in un eterno divenire. E oggi, qui, per ricordarci che ogni strada ha un principio.
Correva l’anno 1983. Ormai da qualche tempo erano sorti nuovi insediamenti che costringevano ad allargare il raggio d’azione della parrocchia di Piandellavalle, tanto da far avvertire il bisogno di predisporre spazi per il catechismo e prevedere la celebrazione di una messa nel salone Boetti in via san Bernardo. 
Ebbene, il 1° settembre di quell’anno 1983 il vescovo Giustetti, dando autonomia al Borgo Ferrone, istituiva la nuova parrocchia intitolata a Santa Maria Maggiore (come l’antica chiesa di Paindellavalle distrutta da un bombardamento nel 1945) e il 9 novembre iniziava il suo ministero il primo parroco, don Francesco Tarò. Un anno dopo veniva posta la prima pietra di questa chiesa che, sebbene già in uso, sarebbe stata consacrata di lì a dieci anni, all’inizio del 1994 dal vescovo Enrico Masseroni, essendo parroco don Antonio Manassero. 
 
Chiesa di mattoni e comunità dei credenti
Penso che sia bello, in questa circostanza tener uniti i due anniversari, ricordare oltre che il 40° della parrocchia (la vita comunitaria) anche il 30° della chiesa parrocchiale, il luogo dove la comunità si ritrova e cresce nella fede. Essa infatti con le sue caratteristiche inconfondibili è l’immagine riassuntiva del quartiere Ferrone e della parrocchia di Santa Maria Maggiore che insieme costituiscono una parte viva e vitale della città e della diocesi. È il luogo dove ci si ritrova per pregare Dio, per celebrare l’Eucaristia e per ripartire più fratelli e testimoni per altri fratelli.
I due aspetti sono inscindibili e ben illustrati da un discorso di sant’Agostino 
per la festa della dedicazione della chiesa. Il grande santo sviluppa un ragionamento bello ed efficace. Dice:
 
“Quello che qui avveniva mentre questa casa si innalzava, si rinnova quando si radunano i credenti in Cristo. Mediante la fede, infatti, divengono materiale disponibile per la costruzione come quando gli alberi e le pietre vengono tagliati dai boschi e dai monti. Quando vengono catechizzati, battezzati, formati sono come sgrossati, squadrati, levigati fra le mani degli artigiani e dei costruttori. Non diventano tuttavia casa di Dio se non quando sono uniti insieme dalla carità. Questi legni e queste pietre se non aderissero tra loro con un certo ordine, se non si connettessero armonicamente, se collegandosi a vicenda in un certo modo non si amassero, nessuno entrerebbe in questa casa. Infatti quando vedi in qualche costruzione pietre e legni ben connessi, tu entri sicuro, non hai paura di un crollo.
[…] Dunque, quanto qui vediamo fatto materialmente nei muri, sia fatto spiritualmente nelle anime; e ciò che vediamo compiuto nelle pietre e nei legni, si compia nei vostri corpi per opera della grazia di Dio”.
 
Un lungo e sapiente lavoro di costruzione
S. Agostino, sviluppando quanto già troviamo anche nella prima lettera di san Pietro, che abbiamo ascoltato, stabilisce un parallelismo tra la chiesa edificio e la Chiesa comunità dei credenti, tra l’opera di costruzione del tempio e l’edificazione della comunità. L’una è immagine dell’altra.
Si chiede: come è avvenuta la costruzione dell’edificio? Con la sapiente e diligente scelta e la lavorazione dei materiali, del legno e della pietra; allo stesso modo, afferma, anche la comunità si edifica mediante la materia prima che sono i credenti e il lavoro abile e fervoroso di chi evangelizza e di chi celebra i sacramenti. 
Come la pietra e il legno vengono sgrossati e squadrati e levigati, così anche l’uomo spirituale che è in noi viene modellato dalla Parola e dalla grazia di Dio. 
Non è lavoro di un giorno né di un anno. È un lavoro lungo, come è sempre stata in passato, la costruzione delle nostre chiese, organismi vivi, mai definitivamente conclusi.
E ancora, ragiona sant’ Agostino: tutti i materiali dell’edificio devono poi connettersi armoniosamente tra di loro e necessitano di qualcosa che li unifichi e li saldi, e questo, solo questo farà, di un insieme di materiali diversi, l’edificio, darà solidità all’edificio e sicurezza a chi vi entra. Così la comunità ha bisogno del cemento della Carità per divenire una vera casa accogliente e sicura per tutti.
 
Piccola apologia della parocchia
La parrocchia è tutta qua: una chiesa di mattoni e una comunità di credenti. Ma a ben pensarci, non è poco. Anzi, essa è una realtà complessa e preziosa. Vorrei invitarvi a riflettere su questa realtà; vorrei che insieme comprendessimo il suo valore e la necessità di amarla - non vi sembri retorico - , rilanciarla, difenderla.
Comunità di persone e di fede, la parrocchia come istituzione sembra talvolta in crisi: altre forme aggregative - laiche o no - la incalzano; l'accusa di inattualità sembra minarne le proposte. Tutto questo, in fondo, è normale: poche realtà, infatti, risentono quanto le parrocchie del contesto culturale e umano nel quale sono inserite. Lo abbiamo già detto: il tessuto della parrocchia è il tessuto umano e sociale tipico del tempo; la parrocchia vive della presenza, della generosità e della collaborazione della gente in un dato spazio e in un dato periodo. 
Peccato che questo sia il tempo dell’isolamento virtuale, della realtà allargata, o raddoppiata, che toglie spazio e senso a quella concreta. Peccato che questo sia il tempo delle distanze, cronologiche e fisiche annullate e al tempo stesso divaricate. Perciò, luogo di incontro fisico, di iniziative fattuali, la parrocchia soffre, come un’antica nave in un mare in cui sfrecciano veloci e inafferrabili vascelli immateriali.
Non solo: alla parrocchia è demandato - per così dire - un "lavoro di base" (messe, sacramenti, catechesi, animazione del tempo libero finalizzata alla testimonianza del Vangelo e alla crescita della fraternità ) un "lavoro di base" che poco o nulla concede alle lusinghe dell'innovazione pastorale, della fantasia o dell'elitarismo. La parrocchia, un po’ come la scuola, deve fare il lavoro di fondo, curare i fondamentali, e neppure questo contribuisce a renderla allettante, forse. Però, continua a farla essere necessaria.
 
Ricchezza e unicità della parrocchia
Ancora: In parrocchia non ci si sceglie per esclusive esperienze, fossero anche spirituali; in parrocchia, molto più semplicemente (ed evangelicamente!) si cerca di vivere la fraternità senza preconcetti e senza chiusure, e senza far leva su iniziative mirabolanti.
Tuttavia, questa che può sembrare una povertà e un limite, è invece una ricchezza straordinaria, se vissuta con coerenza evangelica.
È bello che tutti possano trovare alimento adeguato alla loro fede, ma è bello soprattutto che i poveri, i deboli, i semplici possano dire e dirsi: "Andiamo in parrocchia"; ed è bello che lì trovino appunto dei cristiani capaci di abbassarsi, di stare al passo di chi è più lento, di spendersi in attività semplici ma essenziali (la carità del sorriso, dell'ascolto, la carità del prendere per mano e del giocare con i ragazzi, la carità faticosa e apparentemente inconcludente dello stare e del dialogare con gli adolescenti, la carità del fare qualcosa per gli anziani). Dove non c’è parrocchia, dove non c’è comunità, dove non sanno di poter andare dai cristiani, gli ultimi rischiano il naufragio nella solitudine e nella disperazione, un naufragio che smartphone e computer difficilmente riescono a evitare. Se non illusoriamente.
C'è nella tradizione della parrocchia, qualcosa di nobile: è la nobiltà del servizio a tutti che entro il quotidiano non si logora, bensì si purifica e trova le proprie vere ragioni.
Senza dimenticare, naturalmente, che a turno ognuno di noi può essere (anzi sarà certamente) per così dire il "povero" bisognoso del sacramento, della parola giusta, di un po' di attenzione, di qualche minuto di calore umano o di un raggio di speranza cristiana.
 
Il presente e il futuro della Parrocchia
Infine, va sempre sottolineato che a garantire continuità e coerenza alla parrocchia è l'Eucaristia, cioè la presenza di Cristo; questo significa che la parrocchia ha un futuro (e un presente) se coltiva in sè un'autentica vita spirituale, ovvero un saldo rapporto col Signore e con la sua Parola. In questo è il fulcro vero della parrocchia, e di lì essa deve trarre uno slancio che le è essenziale, quello "missionario".
E allora permettetemi di evidenziare un’urgenza, richiamare un dovere affinché la comunità cristiana del Ferrone continui a tenere viva la sua identità. 
Non possiamo ignorare che anche la nostra comunità diocesana, le nostre famiglie sono intaccate da una lenta e progressiva disaffezione per le cose dello spirito, quelle che dicono convinzione, amore al Signore, fede in lui. Un esempio: Sì certo, battesimi, comunioni e cresime vedono ancora il tutto esaurito, ma come mai la messa domenicale è via via disattesa da adulti e ragazzi e giovani? 
Se non fosse perché la grazia di Dio ci precede e ci supera, a volte verrebbe da  scoraggiarsi pensando anche solo a un 2033 e, permettetemi, a ciò che potrebbe essere anche di questa comunità al compimento dei 50 anni...
Non è forse questo impegno della messa il nostro più concreto e – lasciatemelo dire – “facile” modo di dire al Signore la nostra fede in lui, il nostro bisogno di lui? Non dimentichiamolo: siamo salvi solo in forza del sacrificio di Cristo sulla croce, che riviviamo nel sacramento dell’eucaristia.
Mi rivolgo allora in particolare ai papà e alle mamme, dai quali - negli anni della fanciullezza - dipende totalmente la partecipazione alla messa dei figli.  
Mi rivolgo agli adolescenti, affinché pur nel travaglio della crescita sappiano tenere duro su questo aspetto fondamentale; mi rivolgo ai giovani e agli anziani, affinché non siano troppo indulgenti con se stessi nel trovare giustificazioni per non andare a messa. Se devo esprimere un desiderio per il futuro, vorrei che fosse proprio la partecipazione alla messa l’impegno, per tutti, da riconsiderare e da assumere o recuperare con la serietà che si dedica alle cose di cui si è compresa l’importanza. Tanto più in epoca di accoglienza e inclusività, ricordiamoci che all’altro dobbiamo andare incontro sapendo chi siamo, possedendo un’identità. Per un dialogo, ciò è necessario. Altrimenti, sarà un monologo in cui parleranno solo gli altri. E la nostra identità io credo che sia anzitutto cristiana. E l’identità cristiana viene coltivata anzitutto nella messa, nell’ascolto della Parola, nell’Eucarestia condivisa con i fratelli.
 
Quarant’anni di “pietre vive”
Vorrei concludere riallacciandomi al breve excursus storico con cui ho iniziato. Ripercorrendo i primi 40 anni di parrocchia, non possiamo dimenticare tutti coloro che hanno costruito con la loro presenza, con la loro partecipazione, con la loro fattiva collaborazione, questa comunità: sacerdoti, catechisti, animatori d’oratorio e volontari di ieri e di oggi. Presenze umili, nomi e volti che sopravvivono nei ricordi dei singoli e per non più di una generazione. Poi, il tempo li cancella. Ma essi sopravvivono nell’esistenza stessa della comunità, dell’edificio di cui sono stati pietre.
Certamente qualche volto, qualche nome è nel ricordo comune  ma oggi vogliamo fare memoria indistintamente di tutti, nell’ideale comunione dei Santi che tutti li riunisce.
Non posso neppure dimenticare che su 40 anni di parrocchia ben 26 hanno visto la guida di don Flavio. Come lui stesso ha scritto: “siete cresciuti, siete diventati adulti insieme”! Indubbiamente un bel traguardo.
Riallacciandomi al Vangelo, mi verrebbe da dire che don Flavio è stato in mezzo a voi il Battista che ha preparato la strada del Signore, che ha orientato il vostro sguardo a Gesù, che vi ha indirizzati a lui. Vi ha portato il Vangelo, i sacramenti, la vita cristiana nella sua essenzialità.
È questo lo scopo, la vita del prete. Umile, magari. Vale per il parroco ciò che si diceva per la parrocchia. Il lavoro di fondo. Quello senza il quale, però, non si va da nessuna parte, non si può nulla. Come il grande scrittore deve anzitutto essere grato alla maestra che gli ha insegnato l’alfabeto.
In questa circostanza è bene dire quindi anche grazie a lui, mentre ancora una volta preghiamo insieme il Signore, perché dopo di lui non faccia mancare la presenza del sacerdote, pur in un tempo di carenza di operai nella sua vigna.

+ Egidio, vescovo

Dettagli