Omelia in occasione del pellegrinaggio della Città di Mondovì al Santuario di Vicoforte  nella solennità della Natività di Maria
Descrizione

Vicoforte, 8 Settembre 2023

Rieccoci alla festa del Santuario, alla festa della Madonna di Vicoforte, festa che, per la sua collocazione dentro il calendario non solo liturgico, costituisce un appuntamento importante, che si rinnova da secoli, che assume valore religioso e civile e che segna la ripresa di tutte le attività dopo la pausa estiva.
Qui, all'ombra del Santuario e ai piedi della Madonna, ma anche al cospetto della Storia, è più facile per tutti ritrovare forza e guardare avanti: proprio la consapevolezza della tradizione che ci precede ci aiuta a relativizzare il presente, a non subirlo come realtà assoluta.
Realtà è anche il passato che abbiamo alle spalle, il quale ci dice silenziosamente che non siamo i primi e che non saremo gli ultimi, ci richiama a compiere la nostra parte di dovere ma ci insegna anche a non sopravvalutare l’importanza nostra e del nostro tempo. Possiamo, dunque, serenamente pensare che abbiamo l’onore di succedere ai nostri padri e la responsabilità di conservare il loro lascito per i nostri eredi: generazione dentro l’infinita serie delle generazioni, quella che già Maria evocava nel Magnificat.

La natività di Maria nel Protovangelo di Giacomo
La liturgia ci invita a celebrare la natività di Maria, evento sul quale i Vangeli canonici tacciono, sicché non abbiamo una pagina biblica di riferimento. A raccontarla, e a consegnarci i nomi del padre e della made di Maria, Gioacchino e Anna, è il Protovangelo di Giacomo, un testo apocrifo scritto in Greco e datato intorno al 150 d.c. La tradizione lo pretende scritto da Giacomo il Giusto, primo vescovo di Gerusalemme. Tuttavia, gli storici sono scettici circa l’autore e l’epoca, vista la scarsa conoscenza degli usi civili e religiosi giudaici. Da lì, la datazione intorno al II secolo.
Mi sembra bello leggere l’inizio di questo testo, perché ci offre gli elementi essenziali della vicenda che precede la nascita di Maria.
«Secondo le storie delle dodici tribù di Israele c'era un certo Gioacchino, uomo estremamente ricco. Le sue offerte le faceva doppie, dicendo: "Quanto per me è superfluo, sarà per tutto il popolo, e quanto è dovuto per la remissione dei miei peccati, sarà per il Signore, quale espiazione in mio favore". Giunse il gran giorno del Signore e i figli di Israele offrivano le loro offerte. Davanti a lui si presentò Ruben, affermando: "Non tocca a te offrire per primo le tue offerte, poiché in Israele non hai avuto alcuna discendenza".
Gioacchino ne restò fortemente rattristato e andò ai registri delle dodici tribù del popolo, dicendo: "Voglio consultare i registri delle dodici tribù di Israele per vedere se sono io solo che non ho avuto posterità in Israele". Cercò, e trovò che, in Israele, tutti i giusti avevano avuto posterità. Si ricordò allora del patriarca Abramo al quale, nell'ultimo suo giorno, Dio aveva dato un figlio, Isacco. Gioacchino ne restò assai rattristato e non si fece più vedere da sua moglie. Si ritirò nel deserto, vi piantò la tenda e digiunò quaranta giorni e quaranta notti, dicendo tra sè;: "Non scenderò nè per cibo, nè per bevanda, fino a quando il Signore non mi abbia visitato: la mia preghiera sarà per me cibo e bevanda"».
«Ma sua moglie innalzava due lamentazioni e si sfogava in due pianti, dicendo: "Piangerò la mia vedovanza e piangerò la mia sterilità"[…]. Ed ecco, un angelo del Signore le apparve, dicendole: "Anna, Anna! Il Signore ha esaudito la tua preghiera; tu concepirai e partorirai. Si parlerà in tutta la terra della tua discendenza". Anna rispose: "(Com'è vero che) il Signore, mio Dio, vive, se io partorirò, si tratti di maschio o di femmina, l'offrirò in voto al Signore mio Dio, e lo servirà per tutti i giorni della sua vita".

L’essenziale della narrazione è che, secondo un modulo non certo unico nelle Scritture, Gioacchino e Anna sono anziani, avviliti e umiliati dalla mancanza di prole. Pregano ostinatamente il Signore perché gliene mandi e alla fine, nonostante la loro età, vengono esauditi.
Che alcuni contenuti di questo Vangelo apocrifo siano penetrati nella fede popolare e siano stati accettati dalla Chiesa, lo prova questo nostro stesso Santuario, visto che anche alcuni dei medaglioni che ne costituiscono la decorazione riprendono episodi del Protovangelo, quali la nascita e la presentazione al tempio di Maria.

Maria, "colei che sorge come l'aurora".
Biblico e splendidamente allusivo è invece il testo della prima lettura, tratto dal Cantico dei Cantici. Nella lode della “sapienza”, in quanto la Sapienza dice di se stessa, la liturgia ci offre una chiave di lettura della figura di Maria.
Riascoltiamone le prime parole e proviamo a cogliere alcune espressioni preziose. Dice il Cantico: “Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come un vessillo di guerra?. Io sono la madre del bell’amore e del timore, della conoscenza e della santa speranza; in me ogni dono di vita e verità, in me ogni speranza di vita e virtù”.
Oso qualche sottolineatura. La prima, per l’incipit. La sua bellezza poetica è tale che se ne ricordò anche Guido Cavalcanti, poeta duecentesco, amico di Dante, che vi si ispirò e laicamente aprì il suo elogio per una donna con le meravigliose parole “Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira / e fa tremar di chiaritate l’aere?”. Ma l’attacco biblico non è solo formalmente notevole, è anche denso di significato: la Sapienza, nella quale dobbiamo vedere Maria, si definisce “bella” e “fulgida”, ma anche “terribile come un vessillo di guerra”. Il contrasto è forte e perciò genera una comprensione profonda delle cose: la Sapienza non è solo bella, è anche disposta ad essere simbolo di guerra. Naturalmente, guerra all'ignoranza, alla falsità, alle brutture, alle scorciatoie.
La Sapienza ha un prezzo, ha un costo, non è un abbellimento banale della vita, è un'arma che nella vita deve servire a combattere per il bene. Lo stesso, ovviamente, vale per Maria: lei è la donna per eccellenza, è aurora, è luna, e sole, ma è anche monito costante a non accettare le bassezze, i compromessi, le viltà, le fughe davanti alla chiamata di Dio. Non per caso, subito dopo, il testo definisce questa Maria-Sapienza Madre di varie cose, fra cui mi piace segnalare la “conoscenza” e la “santa speranza”.

Guardare a Maria, perseguire la Sapienza
Se accogliamo questo passo con la docilità di chi crede, dobbiamo fare nostra l'idea che guardare a Maria e seguirne l'esempio significa perseguire una sapienza che ci fa “conoscere" la verità delle cose e che insieme ci dota della “Santa speranza”. Che aggettivo curioso: perché la speranza deve essere “santa”? Proprio perché sta accanto alla conoscenza, e spesso accade che la conoscenza possa portare al pessimismo, se non alla disperazione, perché conoscere è anche conoscere il male, il limite, la povertà della condizione umana. Ma la vera Sapienza e Maria ci soccorrono, non ci lasciano soccombere dinanzi allo spettacolo spesso osceno del mondo. Violenze, guerre, tragici incidenti, egoismi, avidità di profitto che distrugge uomini e natura, ciechi possessi imposti con la forza, vite spezzate o condannate a dolori tremendi: conoscere è sapere che tutto questo esiste, ma essere sapienti della sapienza di Maria vuol dire farsi scudo della Santa speranza, non rinunciare a credere che si possa operare per il bene, non perdere la fiducia in noi stessi e nel disegno di bene possibile dentro la creazione, per quanto devastata dal male.
A qualcuno questi potranno sembrare i vaneggiamenti di un uomo di fede. In realtà, su questi concetti si gioca la scelta radicale di ciascuno di noi di fronte alla realtà effettuale delle cose, che dolce e gratificante non è, che perfetta non è, che consolante non è. E allora, abbiamo due possibilità: o scegliere il contrario della Santa speranza, che anche lessicalmente e concettualmente è la blasfema disperazione, oppure guardare al mondo con lo stesso sguardo di Maria, che al mondo dona suo figlio fidandosi del progetto di Dio.

Come Gioacchino e Anna, una società anziana
Su quest'ultima notazione e sul dettaglio della nascita di Maria da due genitori ormai anziani, vorrei imperniare l’ultimo punto di questa mia riflessione.
Gioacchino ed Anna supplicano Dio e dall'Angelo ricevono l'annuncio della loro tardiva e insperata fecondità.
Come Gioacchino ed Anna, anche noi siamo perlopiù anziani, apparteniamo a una società anziana, quella occidentale, che nel nome ha l'idea del tramonto, perché occidere in latino significa appunto “cadere giù”. Bene, per varie e complicate ragioni storiche, e anche per politiche sciagurate in campo demografico e più genericamente economico, la nostra civiltà è un po' come i genitori di Maria, pare avviata a un declino sterile. Credo che i sindaci e gli amministratori presenti sperimentino ogni giorno nelle loro realtà come sperimento io nella realtà della Diocesi questa senescenza del nostro mondo.
Prevalgono gli anziani, soprattutto a loro bisogna garantire i servizi, e al contempo scarseggiano le forze. Giovinezza e futuro sembrano appartenere ad altri popoli, anzi ad altri continenti. Noi, vecchia Europa ed Italia, viviamo una realtà diversa, proprio come Gioacchino e Anna rispetto alle giovani coppie che avranno visto fiorire intorno a sé. Eppure, quei due sposi in età avanzata e senza figli non hanno perduto la speranza, direi la Santa speranza. Hanno pregato, hanno atteso, sono stati premiati.

Come Gioacchino e Anna, coltivare una profonda speranza
Lo dico per primo a me stesso, e poi a tutte le Autorità, i sindaci e agli amministratori presenti e anche alla gente che vive nella nostra realtà, e anzi la costituisce: da questa giornata e dall'incontro con la Madonna di Vicoforte, nonché dalla meditazione della sua natività, l'esempio dei due genitori di Maria deve essere costantemente davanti a noi. Come i nostri padri non potevano assolutamente immaginare in quale mondo avremmo vissuto (un mondo che, diciamolo, si è stravolto negli ultimi decenni), così anche noi non possiamo sapere che futuro attenda i nostri figli, le nuove generazioni: possiamo, direi anzi dobbiamo solo coltivare una profonda speranza, e in nome di essa impegnarci ogni giorno a fare il meglio che ci sia possibile. Ignorando, certo, a che cosa questo servirà, ma nella certezza che questo farà di noi non solo dei degni cristiani, discepoli di Gesù che credono in Dio e confidano nella protezione di Maria, ma anche degli uomini e delle donne che hanno fedelmente compiuto il loro dovere lungo il tragitto terreno che hanno avuto in sorte di percorrere.

+ Egidio, vescovo

Dettagli